Saranno state le due circa del pomeriggio e lei era ancora inesorabilmente in ritardo.
La giornata era di quelle da togliere il fiato, sole a picco e assoluta mancanza di vento, l’afa la faceva da padrona.
A memoria d’uomo, nessuno ricordava un agosto così caldo.
Ero seduto su una poltroncina di un bar, ovviamente chiuso a quell’ora nel piccolo paese, l’ombra era impossibile da trovare, gli occhi si socchiudevano per la luce folgorante nonostante gli occhiali da sole ed il sudore copiosamente bagnava la mia pelle.
Solo le cicale sembravano indaffarate ad accompagnare il calore con il loro frastornante e monotono verso.
La piazzetta era deserta e polverosa ed io, guardando l’orologio, non capivo perché stavo ancora aspettando, forse sarei dovuto andar via e farle capire, una volta per tutte, che gli appuntamenti si rispettano.
Avrei voluto bere, una birra fresca e spumeggiante, una granita alla fragola, o solo dell’acqua ma anche la fontana in mezzo alla piazza era completamente asciutta come il mio palato.
Stavo fissando come un idiota una scalinata di fronte a me dalla quale sarebbe dovuta arrivare lei, già, sarebbe dovuta, ogni volta la stessa domanda: Arriverà?
Poi, come d’incanto, eccola scendere le scale con una leggerezza impalpabile, saltellando di gradino in gradino, facendo così sobbalzare i suoi seni ed il mio cuore all’unisono.
I lunghi capelli neri sciolti le incorniciavano il viso, due occhi verdi come i campi di grano in primavera, le gote rosse per il caldo, labbra carnose e un sorriso disarmante.
Beh si, ne era valsa la pena.